Dott.ssa Melania Manzo Psicologo Roma
Dott.ssa Melania ManzoPsicologo Roma

La Personalità Evitante

 I pazienti con Disturbo Evitante di Personalità (DEP) sono stati paragonati a “spettri in un mondo al quale non appartengono, dove assumono un ruolo di osservatore piuttosto che di attore”(Procacci , Popolo; 2003), sottolineando come l'esperienza di non appartenenza sia centrale nel mantenimento della dinamica del disturbo.  La personalità evitante è caratterizzata da comportamenti quali:

 

  • espressioni di inquietudine;
  • condotte interpersonali avversive;
  • immagine di sé alienata;
  • umore angosciato.

 

Di fronte agli altri, il paziente con DEP :

  1. si sente inadeguato,
  2. è inibito da un profondo timore dei giudizi negativi
  3.  prova ansia e vergogna.

Nelle relazioni di gruppo si sente escluso, ma anche in quelle duali prova un senso di estraneità che può essere più o meno pervasivo.

Nel DSM-5 il Disturbo Evitante di Personalità è descritto come “un pattern pervasivo di inibizione sociale, sentimenti di inadeguatezza e ipersensibilità al giudizio negativo, che inizia entro la prima età adulta ed è presente in svariati contesti, come indicato da quattro (o più) dei seguenti elementi:

  • Evita attività lavorative che implicano un significativo contatto interpersonale per timore di essere criticato/a o rifiutato/a.
  • È riluttante a entrare in relazione con persone, persone, a meno che non sia certo di piacere.
  • Mostra limitazioni nelle relazioni intime per timore di essere umiliato/a o ridicolizzato/a.
  • Si preoccupa di essere criticato/a o rifiutato/a in situazioni sociali.
  • È inibito/a in situazioni interpersonali nuove per sentimenti di inadeguatezza.
  • Si vede come socialmente inetto/a, personalmente non attraente o inferiore agli altri.
  • È insolitamente riluttante ad assumere rischi personali o a impegnarsi in qualsiasi nuova attività, poiché questo può rivelarsi imbarazzante”.

Viene  definito come  un disturbo dell'intimità, in cui il desiderio di stringere relazioni è forte e profondo, e tuttavia ostacolato dal senso di esclusione. Ne consegue la tendenza a evitare i rapporti interpersonali; in altre parole la fuga.

 

Cos'è il deficit da decentramento della personalità evitante?

 

Il timore dei giudizi è fomentato dal deficit di decentramento: l'evitante è incapace di leggere i comportamenti altrui se non come svalutanti, perché non riesce a formulare ipotesi alternative. Il bisogno di affetto è accompagnato da una costante paura del rifiuto, che porta a ritirarsi in una dolorosa solitudine. Nei momenti di maggiore malessere, il DEP è completamente autocentrato: si concentra sul proprio disagio ignorando l'ambiente, di cui coglie solo i giudizi (reali o percepiti che siano). Tale egocentrismo gli impedisce di riconoscere quegli aspetti ambientali che potrebbero cambiare la sua prospettiva e correggere i pensieri disfunzionali. “Il senso di inadeguatezza diventa, sotto forma di giudizio negativo, il contenuto attribuito alla mente degli altri.” Tipica degli evitanti è infatti la tendenza a evitare lo sguardo altrui, percepito come giudicante e minaccioso.

 

 L'autostima dei pazienti con DEP

 

I pazienti con DEP hanno un'autostima molto bassa e un giudizio negativo confermerebbe la loro convinzione di essere difettosi e non degni d'amore. Quando la capacità di monitoraggio – ovvero di riconoscere gli stati interni – è molto scarsa, il paziente non riesce a entrare in contatto con le proprie emozioni. Ciò lo rende opaco non solo agli occhi altrui, ma anche a se stesso. Non è possibile stabilire quale, tra bassa autostima e non appartenenza, sia la causa e quale l'effetto: alcuni pazienti raccontano come prevalente il senso di non appartenenza; altri lo fanno dipendere dalla propria presunta inferiorità o diversità, spesso attribuita a deformità o difetti fisici vissuti come qualcosa di immutabile e che determina senza via di scampo una separazione dalle altre persone.

 

Qual'è l'emozione principale del DEP?

 

L'emozione centrale nel DEP è la vergogna: le situazioni sociali devono essere evitate perché è proprio lì che le inadeguatezze sono esposte sotto gli occhi di tutti.

 

Il soggetto evitante adotta strategie di coping che a loro volta perpetuano il disturbo:

  • l'evitamento sociale accresce il senso di alienazione e solitudine,
  • l'evitamento sociale riduce il numero di esperienze e la possibilità di realizzare obiettivi;
  • i comportamenti sospettosi respingono gli altri;
  • lo stile timoroso rende il soggetto un facile bersaglio di umiliazioni che a loro volta peggiorano ulteriormente la sua autostima.

In ogni caso, l'ipersensibilità alle critiche spinge il soggetto a cercarne ovunque, fino al punto in cui sente di essere percepito da tutti come difettoso, il che aumenta l'angoscia e il

senso di inadeguatezza. A livello cognitivo, il soggetto evitante si difende distorcendo le informazioni, scomponendo i pensieri che diventano vaghi e confusi, e perdendo di conseguenza il contatto con la realtà e con i propri stessi sentimenti.

 

Conseguenze

 

Diversi pazienti riescono a mantenere un discreto funzionamento sociale e lavorativo, organizzando il loro stile di vita in un ambiente familiare e protetto. Tendono a mantenere il proprio lavoro negandosi ambizioni di carriera e quindi di confronto; si limitano a vivere le ristrette relazioni abituali, generalmente quelle familiari. Se il loro sistema di supporto cede, tuttavia, vanno incontro a depressione, ansia e collera. L’umore depresso è una delle motivazioni che può spingere il paziente a richiedere l’intervento psicologico. Tale aspetto sintomatologico può diventare anche molto serio, per sfociare anche in ideazione suicidaria. Per affrontare il malessere legato all’ansia o alla depressione, a volte i pazienti evitanti possono fare uso di sostanze, in particolare di alcolici; tale abitudine a volte può assumere le caratteristiche di una vera e propria condotta di abuso, che va ad accrescere l’isolamento del paziente che vede la propria immagine e la propria autostima crollare inesorabilmente. Nel complesso, il paziente evitante tende ad accettare con fastidio l’abitudine alla solitudine e vive rassegnato circa la possibilità di recuperare un’accettabile vita di relazione; convive con la propria solitudine, a volte con rimpianto, altre volte con fastidio.

 

 

Differenti tipi di trattamento


In generale si sono rivelati efficaci i trattamenti psicoterapeutici individuali e di gruppo con caratteristiche supportivo-espressive. L’obiettivo comune è quello di regolare empaticamente l’imbarazzo e l’umiliazione del paziente quando si trova in situazioni sociali.
Generalmente, il lavoro psicoterapeutico contribuisce a diminuire il disagio emotivo delle persone e permette loro di confrontarsi con meno timori alla vita relazionale e sociale.
La terapia di gruppo può aiutare i soggetti a capire gli effetti che la loro sensibilità al rifiuto ha su di loro e sugli altri.

 

Il trattamento farmacologico viene usato in determinate fasi del trattamento e in combinazione con altri interventi, per gestire aspetti sintomatici come ansia e depressione. Vengono utilizzati ansiolitici (es. alprazolam) che aiutano a gestire la riacutizzazione ansiosa o brevi episodi di panico causati dal dover affrontare situazioni solitamente evitate, oppure farmaci betabloccanti per gestire l’iperattività del sistema nervoso autonomo che si ha quando si affrontano situazioni temute. Gli inibitori della ricaptazione della serotonina (es. fluoxetina, paroxetina) si sono rivelati efficaci nella gestione di sintomi tipici della fobia sociale, e possono essere utili nel complesso nei confronti della sensibilità al rifiuto e della timidezza.

 

 

Agata Privitera. Via dalla pazza folla: Il Disturbo Evitante di Personalità (Italian Edition). UNKNOWN.

Stampa | Mappa del sito
Dott.ssa Melania Manzo psicologa in roma

ARTICOLI E NEWS:

 

 

Link: